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Medio oriente: situazione sempre più tesa tra vecchi e nuovi fronti

Dalla Turchia alla Siria alla Palestina, esplodono tensioni e i cittadini subiscono i danni maggiori. Parlano C.Balestri e D.Borghi

Ad Ankara, in Turchia, sabato 10 ottobre 128 persone sono morte in un attentato avvenuto durante una manifestazione per la pace. Gli scontri tra israeliani e palestinesi si sono riaccesi e siamo di fronte ad un’escalation di vittime: dal primo ottobre sono 24 le vittime palestinesi, quattro gli israeliani uccisi, un migliaio i feriti tra Israele e i territori occupati. Tutto questo mentre prosegue la guerra siriana e i bombardamenti russi che provocano vittime indiscriminate tra civili e ribelli. “La grave crisi in atto in medio oriente sta diventando un problema planetario, che si fa sempre più fatica a risolvere - commenta Carlo Balestri, responsabile politiche internazionali Uisp - Quello che sta succedendo in questo momento in Turchia e Siria ha a che fare con il fondamentalismo dell’Isis ma si confonde con le politiche espansionistiche di alcuni leader della zona, dando origine a pericolose ambiguità. In Turchia si fa sponda al governo di Erdogan che, partendo dalla guerra all’Isis, attacca le opposizioni sfruttando l’occasione per riaprire la guerra contro i curdi. Questo contesto genera dubbi anche rispetto a chi possa essere l’autore dell’attentato di sabato scorso, che potrebbe rientrare in una strategia di innalzamento della tensione, per alimentare la paura alla vigilia delle elezioni legislative del 1 novembre. La strage, quindi, rientra in una situazione non chiara in cui il governo turco ha dichiarato guerra ai curdi, che nelle ultime elezioni per la prima volta sono entrati in parlamento”.

“Sia in Turchia che in Siria troviamo un occidente che per portare avanti la battaglia contro l’Isis, si trova ad assecondare regimi che perseguono i loro interessi espansionistici - continua Balestri - La Turchia conduce una guerra contro l’Isis, ma con questa copre il suo attacco alla popolazione curda che da parte sua cerca di respingere le offensive dello stato islamico, ma senza armi e affrontando contemporaneamente le mire imperialiste su alcuni loro territori. Le stesse dinamiche le ritroviamo in Siria: l’appoggio russo ad Assad comporta che finiscano nella macelleria dei bombardamenti i ribelli antiregime che nulla hanno a che fare con l’Isis anzi lo combattono. Sembra che vengano condotti conflitti per consolidare i leader locali invece che per bloccare il califfato”.

A questo scenario si aggiunge la madre di tutti i conflitti, la situazione irrisolta tra palestinesi e israeliani: all’interno della città della pace per eccellenza, Gerusalemme, tutti i vari conflitti si manifestano all’ennesima potenza. "Al momento l’unica prospettiva sembra un peggioramento della situazione e le politiche estere dell’occidente ne sono indirettamente responsabili. In Siria non abbiamo preso una posizione chiara: ufficialmente combattiamo l’Isis ma siamo contro il regime di Assad, quindi una posizione debole perchè non è chiaro chi andremmo a difendere. Il patto stretto dalla Turchia con la Nato, mettendo a disposizione una sua base navale per gli attacchi in Siria, ha di fatto dato via libera a bombardamenti e azioni di guerra turche nei confronti dei curdi, che combattono l’Isis sul campo. Un’altra ambiguità di fondo della nostra politica estera è che dichiariamo guerra al fondamentalismo religioso ma foraggiamo quelli che hanno contribuito alla sua crescita”.

“Bisognerebbe trovare una politica unitaria a livello mondiale per una strategia che prevedesse l’ipotesi di rinunciare a rendite di posizione. Purtroppo, invece - conclude Carlo Balestri - non si agisce per il bene comune ma per mantenere il proprio territorio di influenza. Come Uisp siamo sempre al fianco delle popolazioni che soffrono ingiustizie e deprivazioni per via dei conflitti. Guardiamo con attenzione a quello che accade tra Kobane e Suruc, nell’ipotesi di riuscire a organizzare in quelle zone percorsi di formazione nei campi profughi, dove la popolazione è ancora rifugiata, ma ora che la Turchia rilanciato la sua guerra ai curdi la situazione è molto precaria”.

In questi ultimi giorni si fatto incessante il tam tam di notizie preoccupanti dalla Palestina. Un escalation di vittime e di violenza che non può non farci preoccupare per tutte quelle persone con cui da anni lavoriamo attraverso i progetti di Peace Games Uisp. Chi non ricorda Shu’fat, il campo profughi dove c’è l’asilo Al Zuhur, costruito con il nostro sostegno, il campo dove vivono molti degli operatori che negli anni abbiamo ospitato e formato sullo sport per tutti? Ebbene, proprio da Shu’fat in questi giorni arrivano alcune tra le notizie più brutte. Abbiamo raccolto la testimonianza di una persona che preferiamo rimanga anonima, per non mettere a repentaglio la sua incolumità.

“La situazione nel campo, e in tutta la Palestina, è veramente difficile, e peggiora di giorno in giorno. Niente di tutto quello che sentite in tv può avvicinarsi alla verità. Negli ultimi giorni solo a Shu’fat ci sono stati cinque morti, e 50 persone sono ricoverate in ospedale. I check point aprono e chiudono continuamente, per cui uomini e donne non possono andare al lavoro, perché rischierebbero di non rientrare, i bambini non possono andare a scuola, anche se le loro scuole sono nel campo, perché le maestre non possono entrare. L’acqua che beviamo (che è controllata da Israele, ndr) è contaminata e fa malissimo a tutti, specialmente ai bambini piccoli. Ogni notte un aereo militare sorvola il campo a bassa quota per tutta la notte, nessuno riesce a dormire per la paura. Israele chiede alle famiglie dei morti 20.000 Shekel (più di 4.500 euro, ndr) per riavere indietro la salma dei propri defunti. Alcune famiglie riescono a mettere insieme i soldi, ma sta diventando sempre più difficile, anche perché nessuno può andare a lavoro. Dopo che hanno pagato riportano il corpo, sempre di notte, mai di giorno, ma non danno il permesso di seppellire le persone a Gerusalemme, anche se avevano passaporto israeliano, quindi bisogna rivolgersi al villaggio di Aneta (poco sopra il campo Shu’fat, ndr) che però ora non può più aiutare, e dice di portare il corpo a Gerusalemme. Le case delle famiglie delle vittime vengono distrutte, e con esse anche buona parte delle abitazioni a fianco, perché nel campo di Shu’fat le case sono costruite una sull’altra. Le leggi cambiano continuamente e da due settimane a questa parte è tutto peggiorato. Io spero che sia una situazione passeggera, ma per il momento tutti i segnali sono negativi”.

“La situazione è inaccettabile -  afferma Daniele Borghi, presidente di Peace Games Uisp – siamo tristi e preoccupati per i nostri amici e compagni di lavoro a Shu’fat e in tutta la Palestina, ma siamo anche arrabbiati. Dopo tanti anni, ancora una volta, ci ritroviamo a dire che non si può rispondere alle pietre con le pallottole, ma soprattutto che non si può lasciare che un intero popolo viva in condizioni di totale violazione dei diritti umani. Siamo vicini con il cuore ai nostri amici palestinesi, con cui abbiamo condiviso e spero condivideremo ancora speranze, battaglie e progetti. Speriamo vivamente di poter tornare presto a parlare con loro di gioco e di sport, e di futuro. Ma se la comunità internazionale non si farà carico della questione in maniera seria e corretta, per questo popolo il futuro sarà sempre più nero”. (Elena Fiorani - Layla Mousa) 

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